Andrea Sinigaglia
Il successo del film “L’attimo fuggente” ha reso il personaggio del professor Keating l’epitome del buon professore: quello che riesce a scardinare le disilluse certezze dei suoi alunni, a far loro riacquistare fiducia nello studio e a cambiarne la vita per sempre. La difficoltà di incontrarne nella vita reale, di insegnanti così, rende i contorni della figura quasi mitologici.
Andrea Sinigaglia ha avuto la straordinaria fortuna di incontrarlo, il suo professor Keating. Si chiamava Margherita ed era la sua insegnante di italiano all’Istituto Alberghiero di Salsomaggiore. È stata lei la prima nella sua vita a dargli la possibilità di un futuro diverso: cuoco sì, ma non solo con le mani, anche con il cervello. Un pungolo intellettuale entrato così a fondo dentro di lui da spingerlo a iscriversi alla facoltà di Lettere e Filosofia della Cattolica di Milano.
La cucina, però, non sparisce mai del tutto dalla sua vita: Sinigaglia si mantiene all’università facendo lavoretti come cuoco e cameriere nei ristoranti e nel catering. Al momento della tesi viene quasi naturale fare una sintesi tra queste due identità: si laurea in Storia Medioevale con una tesi sull’alimentazione a Milano durante il Medioevo. A seguire, un Master in Sviluppo Turistico e Territoriale a Piacenza.
Nel 2004 l’arrivo ad Alma, la neonata Scuola Internazionale di alta aucina di Colorno, dove nel 2010 – dopo aver conseguito anche un MBA in gestione di azienda – è diventato direttore generale. Nella didattica ha portato il lascito del suo percorso di studio – continuo, composito, che contamina e supera le barriere accademiche tradizionali – cercando di dare un’impronta unica e inconfondibile agli studenti.
Chef nella cui formazione non sono sufficienti né solo la teoria né solo pratica, chef per cui parole come etica e sostenibilità hanno un peso, chef che non hanno paura di confrontarsi e di occuparsi di tematiche come la gestione dello stress in cucina. Gli chef del domani, insomma